Franco Gnoli
1940-2021
Al Prof. Gnoli non piacevano le commemorazioni, le trovava un po’ forzate, diceva sarcasticamente che finivano sempre per diventare un’autobiografia dei relatori. Oggi farebbe finta di essere infastidito, ma in realtà, nel profondo, sarebbe contento di vederci qui riuniti per ricordarlo di lunedì mattina, il giorno del suo ricevimento.
Il Professore ha insegnato a Milano dal 1988 fino alla pensione. Arrivava in bicicletta, non prima di metà mattina, e passava tutta la giornata in Università: la sua stanza era sempre aperta e volentieri si intratteneva con collaboratori e studenti, parlando di tutto. Ma quando mancavano venti minuti alla lezione, mandava via tutti, doveva concentrarsi. Lo lasciavamo in compagnia del sigaro toscano, che fumava tranquillamente al chiuso, e, anche dopo l’introduzione del divieto, aveva continuato a farlo sotto il cartello ‘vietato fumare’. Sapevamo che era lì perché, guardando nella sua stanza dal ballatoio, vedevamo il fumo salire verso il soffitto. All’ora giusta — non arrivava mai in ritardo — camminava fino alla 208 indossando solo la giacca, anche in inverno: diceva che la maglia di lana lo aiutava a non sentire freddo. In aula era severo, asciutto, spiegava a voce alta ed era chiarissimo: un grande esempio di efficacia didattica. Citava spesso i maestri che non avevano mai abbandonato l’insegnamento delle Istituzioni. Credeva fermamente nel valore formativo di questa materia e non si stancava di richiamarne la connessione con l’ossatura fondamentale degli istituti privatistici vigenti, pur senza trascurarne la ricchezza peculiare data dalla profondità storica.
Nel rapporto interpersonale, si divertiva a provocare il suo interlocutore, per studiarne le reazioni. Era generoso con i laureandi, passava lunghe ore a leggere e correggere le tesi.
Ai collaboratori ha sempre dato del lei: non era una mancanza di confidenza, ma un segno di rispetto. Gli dava fastidio quello che chiamava il ‘tu paternalistico’.
Chi lo ha conosciuto ne ricorda le espressioni tipiche:
‘In fondo lei è umano’
‘sapete, il latino deriva un po’ dall’italiano’ [quando vedeva gli studenti in difficoltà di fronte ai termini latini]
‘vado a nutrirmi’ [quando usciva per mangiare un panino in piedi, prima della lezione delle 14.30]
‘Ulpiano viene prima o dopo Garibaldi?’ [agli esami]
‘Vada pure nelle isole felici’ [quando salutava chi era in partenza per le vacanze]
‘Avete mangiato e bevuto? Bravi, bravi…’ [per prendere in giro gli assistenti quando partecipavano ai convegni]
Amava i libri antichi, l’esegesi dei testi, gli orologi e i suoi alberi da frutta, che curava con dedizione. Amava insegnare e si vedeva.
Non gli piaceva il telefono. Quando suonava il fisso nel suo studio, alzava la cornetta, la portava all’orecchio e stava lì in silenzio, sornione. Alla domanda ‘Ma Professore, non dice niente?’, rispondeva ‘ha chiamato lui, parli lui!’, e rideva divertito.
Nelle orecchie dei suoi allievi, ora docenti, alla fine della lezione risuonano ancora le parole con cui salutava gli studenti: ‘a Dio piacendo, ci vediamo domani’.
Recitava spesso una scenetta: quando qualcuno bussava alla sua stanza, soprattutto se si trattava di una persona a cui era affezionato, alzava gli occhi, con il viso contratto: ‘Sì …?’ Alla risposta ‘volevo solo salutarla’ si alzava in piedi, faceva il giro della scrivania, tendeva la mano e diceva: ‘… e allora ci salutiamo! Arrivederci!’
Arrivederci, Prof.
Bozza di un ricordo redatto da collaboratori e allievi alla sezione di Diritto romano e diritti dell'antichità dell'Università di Milano, successivamente ritoccata e letta a una messa nel trigesimo della scomparsa
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